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Triduo Festa San Timoteo – Solenne Pontificale: Omelia Mons. G. De Luca

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Omelia Pontificale di san Timoteo – 11 maggio 2019

Iniziando questa giornata nella quale, come Chiesa diocesana, facciamo memoria dell’eredità che la Provvidenza ci ha consegnato, quella di custodire le reliquie di San Timoteo, consideravo le angustie che affliggono il nostro tempo, la nostra società, e non ultima la mia vita di cristiano e di vescovo.

Ieri, le stesse considerazioni, avevano fatto risuonare nel mio cuore, l’invocazione accorata del salmista “Salvami o Dio, l’acqua mi giunge alla gola. Affondo nel fango e non ho sostegno; sono caduto in acque profonde e l’onda mi travolge”.

Stamane ho avuto la risposta a quanto vivo nel cuore: “Nell’angoscia gridarono al Signore ed egli li liberò dalle angustie”. Queste parole del salmo mi hanno come svegliato, hanno reso attento il mio cuore, e subito ho proseguito nella recita: “Mandò la sua Parola e li fece gioire e li salvò dalla distruzione”.

Ho visto in questa esperienza della mia anima una consegna che San Timoteo fa a me e a voi. Mi è apparso chiaro che la paterna premura dei Dio, in Timoteo, ci ribadisce la consegna della Parola come possibilità concreta di attraversare il male che ci aggredisce in vari modi e di vivere nella gioia.

Così scrive, a Timoteo e a noi, l’apostolo Paolo: Tu, invece, persevera nelle cose che hai imparate e di cui hai acquistato la certezza, sapendo da chi le hai imparate, e che fin da bambino hai avuto conoscenza delle sacre Scritture, le quali possono darti la sapienza che conduce alla salvezza mediante la fede in Cristo Gesù. Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.”

Con questa consapevolezza e con questa premura siamo invitati ad accogliere la Parola che abbiamo appena ascoltata, è quella che il Padre, attraverso il Figlio Gesù Cristo, per mezzo dello Spirito Santo che abita la Parola e il nostro cuore, intende consegnarci.  Perché, ognuno di noi e tutti insieme, risultiamo illuminati, indirizzati, raddrizzati, se occorre, così da poter far vivere la Parola in noi e permettere, con la nostrav adesione, che essa produca le opere di Dio in noi e attraverso noi.

L’opera di Dio in noi è quella di essere figli di Dio, e, quella attraverso noi di, di vivere da fratelli.

Le letture che la liturgia odierna ci dona contengono due inviti forti e chiari, due chiamate che attendono una nostra decisione, e offrono una possibilità di vita nuova che scaturisce dalla risposta alle due chiamate.

Le due chiamate: il passaggio dalla legge al Vangelo della grazia (1° lettura) e l’adesione al modello del Pastore Bello (vangelo). Da qui consegue la possibilità di vita nuova: se aderiamo a queste due chiamate vivremo sotto la “tenda del Signore” accompagnati e custoditi dal Pastore Bello.

  1. Il passaggio dalla legge al Vangelo della grazia. L’episodio degli Atti costituisce e racconta la svolta epocale del cristianesimo. La promessa a Israele di diventare «luce dei pagani e salvezza fino agli estremi confini della terra» (Is 49,6) si compie ora nella discendenza di Abramo, nella quale saranno benedetti tutti i popoli della terra (Gen 12,3). Questa benedizione avviene non mediante l’assimilazione di tutti alla Legge, bensì mediante la grazia di Cristo che «ci ha riscattati dalla maledizione della Legge». Si è fatto «lui stesso maledizione» (Gal 3,13) per aprire a tutti la via della fraternità propria dei figli di Dio.

Questo passaggio dalla Legge al vangelo della grazia non è compiuto una volta per tutte. È un cantiere che deve restare sempre aperto nella storia personale di ognuno di noi. Se lo chiudiamo e non ci convertiamo quotidianamente alla grazia, ci areniamo nell’autosufficienza religiosa e diventiamo giudici degli altri,

Ancora oggi viviamo una grande difficoltà a uscire dalla religiosità della legge per schiudere a tutti la figliolanza di Dio.

In questo modo  Noi-Chiesa, invece di aprirci alla fraternità con tutti, ci trinceriamo dietro siepi e ci arrocchiamo in difesa.

Facendo questo cerchiamo la nostra identità in noi stessi, invece che nel Padre di tutti e nel Figlio che si fa fratello di tutti, a cominciare dagli esclusi.

È proprio dell’egoista chiudersi in se stesso, producendo divisione; è proprio di chi ama, invece, aprirsi all’altro, creando relazione. Il cristianesimo non si diffonde «mangiando» gli altri, per assimilarli a sé. Dobbiamo avere lo spirito di Paolo, che si fa «tutto a tutti».

Si rischia così di cedere spazio al clericalismo di chi vuol omologare tutti alle proprie leggi. Questo è la condizione di chi vuol fare un «frullato di cuori e cervella», invece di fare comunione nella diversità.

Non ci si accorge che, con molta devozione, si tradisce la tradizione: alla grazia si sostituisce surrettiziamente la legge della discriminazione. E questo non è cristiano.

Per questo motivo Paolo, nel resto degli Atti, sarà scacciato e perseguitato da molti zelanti correligionari ebrei e, a quanto pare, anche cristiani (cf. 2Tm 4,16.11: «Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato», tranne Luca).

Non vi sembra ci venga offerta una luce interpretativa sull’oggi della Chiesa? Nella situazione di Paolo di allora, non possiamo ravvisare quella di Papa Francesco di oggi?

Ma proprio questo essere «scacciato» renderà Paolo testimone della «pietra scartata» sino agli estremi confini della terra.

Preghiamo perché davvero tutti, per non voler richiudere tutti in un solo un ovile, ma per voler tirar fuori tutti degli olivi per portarli ai pascoli della vita. Perché negli ovili le pecore sono tosate, munte, macellate, mentre fuori, nei pascoli erbosi, vivono e sono come il pastore. Liberi e capaci di amare.

  1. L’adesione al Pastore Bello.

Gesù presentandosi come pastore non intende affermare che noi siamo pecore, cosa che certamente non risulta accettabile, ma intende proporre una domanda che diventa interpellanza: qual è il modello della tua vita?

Infatti l’uomo impara dai modelli che ha davanti. Questi modelli sono i nostri pastori, ci guidano, ci conducono, con essi ci confrontiamo. Tutta la cultura è fondata su modelli che seguiamo, anche inconsciamente, oggi più che mai, grazie ai mass media, alla televisione. Gesù viene per liberarci dai modelli correnti, quei modelli che i capi rappresentano e che tutti seguiamo.

Di solito prendiamo come modello, come oggetto dei nostri desideri quello che ci sembra essere il più realizzato e questo è normalmente il modello che riesce a imporsi sugli altri, il modello dominante. Perché il modello dominante è tale? Perché riesce a vincere. Perché vince? Perché s’impone. Perché s’impone? Perché ha i mezzi, ha il potere. Se uno rifiuta di accettare quel modello, o è emarginato o è eliminato. Se poi si ribella e ha la meglio, finisce per prendere il posto del modello precedente, diventando capo e trasformando l’altro nella vittima designata del potere.

Tutti, sudditi e capi, giochiamo quindi allo stesso gioco, quello della violenza. La storia dell’uomo è la storia della violenza destinata a crescere sempre di più, dall’inizio alla fine. Quando finirà?

L’uomo nuovo che propone Gesù non è l’uomo violento che domina, opprime ed elimina, ma è l’uomo che prende l’umanità nel suo limite e nella sua debolezza, la serve nell’amore, l’aiuta, è solidale con lei e la fa crescere nella libertà.

. Gesù rappresenta questo Pastore bello, di quella bellezza che salverà il mondo. La sua bellezza consiste in tre cose che riguardano la sua vita:

  • la prima è che espone la vita per le pecore;
  • la seconda è che non solo espone la vita a ogni pericolo perché difende le pecore che ama, ma anche dispone della sua vita a favore delle sue pecore. E qual è la vita di Gesù? È la sua conoscenza del Padre, l’unione col Padre che ci rende figli;
  • la terza – ancora più profonda – è che Gesù depone la sua vita a favore delle pecore, cioè sa dare la vita e proprio dando la vita la riceve ed è Figlio uguale al Padre.

La bellezza del modello che Gesù presenta consiste quindi in questo: invece di rubare, disporre, uccidere la vita degli altri, egli espone, dispone, sa deporre la sua vita e riprenderla perché ha un unico comando che è quello di amare di un amore più forte della morte. Questo è il modello che Gesù propone a ogni uomo.

Ora, chi non affida la vita al Pastore bello che sa esporre, disporre, deporre la sua vita per le pecore, sta affidando la vita ad altri pastori, al pastore della morte. Se io credo, se tu credi che l’importante nella vita è il potere, è il dominio e sopprimere gli altri, è chiaro che non è vera la nostra fede in Cristo che si fa servo di tutti.

Noi cristiani abbiamo un grande ruolo nell’umanità, di cui dobbiamo essere coscienti. Il cristianesimo è infatti una religione che non pretende di imporsi sugli altri, ma vuole semplicemente proporre a ogni uomo la sua umanità di figlio e di fratello, perché tutti siamo figli – nessuno s’è fatto da sé – e diventiamo tali se accettiamo gli altri come fratelli.

Allora si realizza un mondo umano, altrimenti si realizza il mondo bestiale dove domina sempre il peggiore, il più tremendo.

  1. Una vita vissuta “all’ombra della tenda”

La visione del brano dell’Apocalisse che abbiamo ascoltato, parla di noi, del nostro cammino e del compimento di tale cammino. “Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello”

Siamo noi, o possiamo essere noi, e lo siamo nella misura in cui rispondiamo alle prime due provocazioni che la parola di Dio ci fa. Chi accoglie la grazia e si lascia guidare da Gesù fino ad assumerne i lineamenti, lo fa nel combattimento e nella perseveranza. Questo si realizza attraverso l’inserimento fondamentale nella Pasqua del Signore, avvenuto nel giorno del nostro Battesimo, (il segno della veste bianca) ma si compie nel vivere la nostra pasqua quotidiana che porta, a morire a se stessi e al proprio egoismo, a rispondere al male che riceviamo con il bene, e a vivere in comunione con Gesù e partecipare della sua vittoria.

Allora “Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda” su di noi. Dio, il Padre, diventa la nostra dimora e faremo l’esperienza della sua protezione e della provvidenza. Faremo l’esperienza di Gesù fratello, nostro compagno di viaggio e

Non avremo più fame,
né avremo più sete,
né ci colpirà il sole,
né arsura di sorta,
perché l’Agnello che sta in mezzo al trono
sarà il nostro pastore
e ci guiderà alle fonti delle acque della vita.
E Dio tergerà ogni lacrima dai nostri occhi’.

Parrocchia San Timoteo
Parrocchia San Timoteohttps://www.santimoteotermoli.it/wp
La Parrocchia di San Timoteo di Termoli fu costituita da Mons. Oddo Bernacchia, con bolla 1/1/1954. La Chiesa di San Timoteo di Termoli è una struttura neogotica con una sola navata, e fu costruita su progetto dell’ing. Ugo Sciarretta. Unica nel suo genere vanta il prestigio d'essere una delle prime chiese costruite in cemento armato senza colonne centrali per questo ha meritato d'essere citata anche nei libri di storia dell'arte. Il vescovo Mon. Oddo Bernacchia avendo dato questo titolo alla neo parrocchia lo fece con l'intendo" di rendere omaggio al diletto discepolo di Paolo, San Timoteo il cui venerato corpo tornava alla luce, nella nostra Cattedrale, nel maggio del 1945 per u na fortuita circostanza.... "La chiesa ad una sola navata si dispiega ampia e solenne; con le pareti solcate dda strutture portanti che accennano ad uno stile leggermente gotico, invita ad elevare lo spirito a Dio nello slancio della preghiera (Mons. Biagio D'Agostino, Termoli e la sua Diocesi, 1978, p.179).
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