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sabato, 27 Luglio 2024
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Pregare è assediare Dio

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XXIX Domenica Tempo Ordinario 

Pregare è assediare Dio

 (Esodo 17, 8-13; 2 Timoteo 3, 14-4, 2; Luca 18, 1-8)

Ascoltiamo il Vangelo:

“In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»”.

Pregare incessantemente è come prendere d’assedio Dio. Ma perché insistere nella preghiera se Dio è padre e basterebbe un solo gemito per ottenere considerazione? La reiterazione della propria preghiera è segno che davvero si vuole ottenere ciò che si chiede. Quando si cerca con insistenza, quasi come i bambini che, finanche piangono per ottenere, è segno che davvero si desidera ricevere. La differenza consiste che l’adulto non chiede per capriccio, ma per necessità.

La preghiera mette in relazione. È un ponte tra noi e colui che riceve la nostra preghiera. Pregare non è solo chiedere, ma anche vivere un’intimità, aprirsi al ringraziamento, alla lode, alla benedizione. Pregare è mettere sé stessi nel cuore di Dio. 

La perseveranza nella preghiera è un ottimo modo per “passare il tempo” con Dio. Ecco: perseverare. Insistere. Chi pratica questa via e vive questo sentimento dà a capire che è convinto della propria richiesta perciò si diventa insistenti, quasi petulanti.

Gesù al termine del brano evangelico pone una domanda inquietante: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Troverà chi in suo nome testimonia l’amore di Dio? Avere fede, come si sa, non è credere ciecamente a delle verità per quanto nobili, teologiche possano essere. Avere fede significa relazionarci con chi è oggetto della nostra fede: Gesù stesso. L’umanità sarà in grado di conservare la capacità di amare Dio servendo i fratelli? La fede deve essere vissuta ed incarnata nel rispetto degli altri, di tutti. Soprattutto di coloro che sono emarginati, non contano nulla e sono cancellati da tutte le agende dei potenti, dei possidenti e sono relegati solo nelle liste dei disoccupati, dei meno abbienti, degli eterni bisognosi di soccorso, cure e attenzioni. 

La fede la si professa nella credibilità dello stile di vita che ognuno è capace di imprimere a sé stesso. Una fede in Dio non fatta passare attraverso l’amore per il prossimo è una fede claudicante, menzognera, deficitaria, debitrice. Il vero monumento alla fede, l’inno che la proclama, è il servizio e l’amore che si è capaci di testimoniare in favore dei fratelli. Sono le opere che fanno risplendere la bellezza e l’attrazione della fede. Non possiamo viverla in un rapporto isolato tra noi e Dio. Per forza la manifestazione della nostra fede deve passare attraverso gli altri.

Nessuno dei santi esistenti che noi invochiamo nelle nostre preghiere è diventato santo senza aver servito e riconosciuto Dio nei fratelli più poveri e bisognosi. Anche i santi che hanno trascorso l’intera loro vita a pregare sepolti tra le mura di un convento, di un monastero, quasi segregati e preservati dalla contaminazione del mondo, sono diventati santi perché hanno amato e servito i poveri. Direttamente o indirettamente. La via per arrivare a Dio è l’uomo. E tra questi coloro che sono più feriti, soli, abbandonati a sé stessi o relegati, dall’egoismo altrui, ad essere gli ultimi dei gradini sociali e dei pensieri di chi se ne deve prendere cura. Dio non abbandona mai i suoi figli. Ma per farlo si serve anche di noi. Della nostra fede. Pertanto se crediamo e se vogliamo conservare la fede, occorre amare, donarsi agli altri, servire le altrui necessità. Questa è una luce per il mondo ed è il segno della nostra fede. Se così fosse, forse, Gesù troverà la fede quando tornerà. Però non senza il suo aiuto.

Parrocchia San Timoteo
Parrocchia San Timoteohttps://www.santimoteotermoli.it/wp
La Parrocchia di San Timoteo di Termoli fu costituita da Mons. Oddo Bernacchia, con bolla 1/1/1954. La Chiesa di San Timoteo di Termoli è una struttura neogotica con una sola navata, e fu costruita su progetto dell’ing. Ugo Sciarretta. Unica nel suo genere vanta il prestigio d'essere una delle prime chiese costruite in cemento armato senza colonne centrali per questo ha meritato d'essere citata anche nei libri di storia dell'arte. Il vescovo Mon. Oddo Bernacchia avendo dato questo titolo alla neo parrocchia lo fece con l'intendo" di rendere omaggio al diletto discepolo di Paolo, San Timoteo il cui venerato corpo tornava alla luce, nella nostra Cattedrale, nel maggio del 1945 per u na fortuita circostanza.... "La chiesa ad una sola navata si dispiega ampia e solenne; con le pareti solcate dda strutture portanti che accennano ad uno stile leggermente gotico, invita ad elevare lo spirito a Dio nello slancio della preghiera (Mons. Biagio D'Agostino, Termoli e la sua Diocesi, 1978, p.179).
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