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venerdì, 11 Ottobre 2024
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La morte è una nascita. Occorre morire per nascere

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Commemorazione dei Fedeli defunti 

La morte è una nascita. Occorre morire per nascere

 (Giobbe 19,1.23-27; Romani 5,5-11; Matteo; 25,31-46)

Ascoltiamo il Vangelo:

“In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna»”.

La vita ha un inizio, ma, purtroppo, ha anche un termine. L’inizio è sempre bello. Prospettico. Si pensa al futuro, si colora di vivacità, di attesa. La speranza è la protagonista assoluta. Quando giunge la fine, la morte, tutto è angoscia, solitudine, tristezza. Il commiato da questo mondo, dopo aver tessuto relazioni, dopo aver profuso impegno, dedizione, ci trova sempre impreparati. Tagliare di netto ogni cosa. Lasciare tutto. Fare a meno dei legami sentimentali, ci fa sperimentare la nostra debolezza e la nostra fragilità. 

Lo sappiamo: “siamo nati e dobbiamo morire”. Ma quando questa verità ci interpella di persona perché muore una persona cara oppure noi stessi siamo protagonisti, deboli e fragili, allora la conoscenza viene offuscata dalla ribellione o dall’incapacità di “digerire” il distacco. La dipartita è avvolta dalla tristezza, dominata dalla mestizia, sopraffatta dall’evidenza.

Ecco che dove non arrivano il sentimento e la ragione, ci viene in aiuto la fede. La morte non è la fine, non è il terminal dell’esistenza umana, ma un passaggio. La morte è una nascita.  Occorre morire per nascere. La morte biologica ci fa approdare alla nascita. È la storia del seme posto in terra. “Se non muore, non porta frutto”. Il frutto della nostra morte è la risurrezione. Non è una naturale conseguenza come naturale è la nascita di una pianta da un seme. La risurrezione è dono di Cristo. Occorre avere fede per credere. Fiducia in colui che ci ha creati per la vita e non per la morte.

Ma ci ha indicato anche un modo per alimentare e sostenere la debolezza e la fragilità della vita umana: il servizio, la dedizione, l’attenzione per l’altro. È questo il campo della prova. Vedere e soccorrere le altrui necessità. “Lo avete fatto a me”. La vera morte è quella relazionale. Questa è una morte dalla quale si risorge solo se il prossimo lo considero fratello e non straniero, concittadino e non emarginato, collaboratore e non scartato. Mai la persona umana può essere scarto o destinatario della nostra indifferenza.

In questo giorno in cui ridiamo al cuore (ri-cor-diamo) i nostri cari defunti e preghiamo per loro, ricordiamoci anche di tutti coloro che sono dimenticati. Vittime di violenze. Vittime dell’indifferenza umana. Vittime delle cattiverie. Vittime della guerra. Facciamo guerra alle guerre. La vera arma si chiama fratellanza, solidarietà. Prossimità e rispetto. Inclusione e collaborazione. Integrazione. Amore come ci ha insegnato colui che ci ama. Perciò ci ridà anche la vita oltre la morte.

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